Corruzione, arrestati cinque carabinieri | Il pm spiega il ruolo della camorra

Operazione anti corruzione coinvolge cinque carabinieri. Il procuratore: “Resta intatta la fiducia nell’Arma”. Il gip esclude l’aggravante mafiosa, ma è centrale il ruolo di camorra Puca. Ai domiciliari sono andati Michele Mancuso, Angelo Pelliccia, Francesco Di Lorenzo, Raffaele Martucci, Vincenzo Palmisano e Corrado Puzzo. A questi si aggiunge il boss Pasquale Puca 

Svolta nell’indagine anti corruzione, con coinvolgimento di carabinieri, condotta dal Nucleo Investigativo del Gruppo di Castello di Cisterna. Le misure di arresti domiciliari sono arrivate per cinque carabinieri a Napoli. Nei confronti di altri tre militari è scattata la sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio per un anno. Gli indagati sono ritenuti responsabili, a vario titolo, di corruzione, omissione di atti d’ufficio e rivelazione di segreti d’ufficio. Dovranno rispondere, in particolare, di aver assicurato libertà di movimento e impunità a esponenti dell’organizzazione camorristica ritenuta capeggiata dal boss Pasquale Puca. Quest’ultimo è un boss incontrastato sul territorio di Sant’Antimo.

La Procura, incanalate tutte le informazioni, aveva formulato anche l’ipotesi di concorso esterno in associazione camorristica. Questa impostazione, però, non è stata condivisa dal giudice, che ha escluso anche l’aggravante della finalità mafiosa. Una partita che non finirà qui: la Procura ha già proposto ricorso al Riesame. “Non ho alcun bisogno di riaffermare – sottolinea il procuratore Giovanni Melillo – la fiducia nell’Arma perché è stata sempre massima e intatta. Il fondamento di questa fiducia è confermato da questa vicenda, nella quale è stata proprio l’Arma a svolgere le funzioni di polizia giudiziaria delegate. Ciò fino allo smascheramento dei colpevoli”.

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La svolta nelle indagini e gli atti intimidatori

Nel corso dell’inchiesta è emersa anche una manovra che sarebbe stata concepita e poi realizzata per allontanare dalla tenenza di Sant’Antimo il maresciallo Giuseppe Membrino. Questi rappresentava, hanno spiegato gli inquirenti, un argine solidissimo ai tentativi del clan di sottrarsi al controllo delle attività illecite. Era considerato un osso duro difficile da scalfire per l’organizzazione.

Il maresciallo fu pedinato e fotografato dal clan nel tentativo di intimidirlo e ricattarlo. Poi fu fatta esplodere una bomba carta sotto la sua vettura, costringendo l’Arma a disporne il trasferimento per motivi di sicurezza. Secondo le ricostruzioni, gli atti subiti e denunciati sono stati fondamentali ai fini dell’indagine portata avanti dagli inquirenti.

Intanto, sono stati divulgati gli effetti dell’operazione. Ai domiciliari per corruzione sono andati Michele Mancuso, Angelo Pelliccia, Francesco Di Lorenzo, Raffaele Martucci, Vincenzo Palmisano e Corrado Puzzo. Oltre a questi figura il boss Pasquale Puca (già in carcere in regime di 41 bis). La misura interdittiva è stata infine disposta nei confronti di Vincenzo Di Marino, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e omissione. A ruota figura il capitano Daniele Perrotta, che deve difendersi dall’accusa di omissione di atti d’ufficio, e Carmine Dovere, indagato per abuso d’ufficio. In tutti i casi è esclusa l’aggravante mafiosa.

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