Coronavirus, Angelo Bagnasco: “La crisi è un banco di prova per l’Europa” | Il caso Genova

Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente dei vescovi europei, analizza il dramma del Coronavirus da un punto di vista soprattutto sociale.

Il cardinale arcivescovo di Genova Angelo Bagnasco, presidente dei vescovi d’Europa (Photo ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images)

“Nulla come prima”

In poche settimane il coronavirus ha completamente stravolto quelle che sono le priorità non solo dei paesi ma anche delle semplici famiglie, delle persone normali. E ora lo spettro della povertà è piuttosto evidente almeno come quello della crisi sociale che si sta affacciando in tutte le grandi città.

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Il caso Genova

Genova, sotto questo aspetto, è un tessuto particolarmente delicato. È una città difficile che ha attraversato crisi molto profonde e che è passata dal boom economico degli anni ’60, che aveva trasformato la città in una vera e propria metropoli, un motore dell’economia nazionale con oltre un milione di abitanti: il primo porto d’Europa. Poi è arrivata la crisi occupazionale e la stragrande maggioranza dei genovesi è scappata dalla città per cercare rifugio e occupazione all’estero o a Milano.

La crisi dopo il boom

L’età si è drammaticamente alzata e oggi Genova è una delle città che ospita il maggior numero di famiglie extracomunitarie d’Italia ma è anche quella con una popolazione di pensionati e anziani da livello di guardia. Il tutto mentre la gran parte delle aziende statali che erano state aperte nel servizio del boom, a poco a poco, hanno chiuso. Un’emorragia di posti di lavoro drammatica: anche Genova, in vent’anni, è completamente cambiata e non è certo la stessa né da un punto di vista occupazionale né da un punto di vista sociale.

Il cardinale Bagnasco

A Genova Angelo Bagnasco è molto amato: è un uomo forte ma con parole di buon senso che ha saputo consolare la città dopo le alluvioni ma soprattutto dopo il crollo di Ponte Morandi dello scorso anno. Oggi il presidente dei vescovi d’Europa chiede all’Unione Europea di uscire dalle sale di potere e di scendere per le strade e incontrare la gente. E lo fa con parole molto forti. “L’Europa deve decidere chi è – dice Bagnasco tra le pagine dell’Avvenire in edicola oggi – o meglio, l’Europa deve riconoscere ciò che è da sempre, dalle origini. Sembra quasi che si vergogni di avere un’anima, ma così si perde”.

Da soli non ci si salva mai

“Penso che il coronavirus abbia almeno indebolito l’individualismo – dice Bagnasco – nessuno può illudersi di salvarsi da solo, di crearsi un rifugio. Non è vero per la salute, non lo sarà per la ricostruzione economica. Abbiamo assistito a una visione parziale della sanità pubblica: a forza di tagliare si arriva a questi punti”. Eppure Genova ha l’ospedale più grande d’Europa, il San Martino che insieme al Comune è ormai l’azienda con il maggiore numero di dipendenti della città. Ma questo non basta a creare eccellenza…

La povertà è dietro l’angolo

“Il morbo-killer non attenta solo la vita, ma anche l’economia – continua Bagnasco – e oggi lo spettro della povertà è evidente. Se la macchina è ferma, si spende qualcosa e la si ripara. Anche la macchina del lavoro richiederà investimenti pubblici notevoli senza complicazioni burocratiche. In questa prospettiva forse sarà necessario ripensare il rapporto tra pubblico e privato, tra centro e periferia, alla luce del principio di solidarietà e di sussidiarietà. In Italia non mancano persone di scienza e di esperienza per maturare, in tempi rapidissimi, una visione e proposte concrete, da vagliare nelle sedi democratiche”.

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Il cardinale Bagnasco a colloquio con Papa Francesco del quale è buon amico (Photo ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images)

Ponte Morandi

Nonostante il coronavirus i lavori a Ponte Morandi continuano. Rallentati perché molte sono le aziende che hanno accusato malattie e assenze: ma anche qui come nelle corsie degli ospedali si lavora H24, perché questo ponte è il simbolo di una città profondamente ferita da una storia ingiusta e beffarda che l’ha vista dominare il mondo e l’economia per poi ripiegarsi su se stessa mantenendo di superbo solo il suo ridondante soprannome. Oggi in quel ponte da ricollegare molti vedono un simbolo e forse la prima vera occasione di festa per un paese che dopo i lutti potrà avere la sua unità. Come questa città, oggi spaccata in due, spesso atterrata. Mai doma.

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