Coronavirus: “Altro che la malattia, il pericolo è la sorveglianza totale”

Nadia Urbinati è docente di teoria politica presso la Columbia University. In una intervista su Fanpage.it descrive il vero rischio che corre la nostra società ai tempi del coronavirus: la sorveglianza totale.

“Il potere agli esperti è incompatibile con la democrazia quanto uno Stato di polizia. Nemmeno Orwell avrebbe immaginato la sorveglianza totale della società attraverso dati e algoritmi”: in una lunga intervista su fanpage.it la professoressa Nadia Urbinati, che insegna teoria politica alla Columbia University, racconta quello che per lei è il reale pericolo di questo momento storico. Non il coronavirus, o meglio non solo: ma il rischio della sorveglianza totale. “Questo è per me uno snodo che ci cambierà. Non so se in bene o in male, di sicuro nel modo di pensare i nostri poteri” spiega la Urbinati che al momento si trova nella sua casa di Bologna, in quarantena. La sua analisi di quello che sta avvenendo parte dalla consapevolezza della grande complessità: “È tutto molto complicato – spiega – perché abbiamo davanti un crogiolo di problemi che si intersecano”. A partire da quello che la professoressa definisce “il governo della legge”, che in questa fase è di eccezione, non è più ordinario. “Noi in Italia abbiamo già avuto momenti di stato d’eccezione, nel nostro Paese, ad esempio col terrorismo negli anni ’70” spiega. “Abbiamo passato leggi d’emergenza per via parlamentare col 90% del consenso. Però era un momento critico, ma di tipo politico, legato a partigianerie, a visioni della società politica. Questa volta è molto diverso”.

Ora in ballo c’è la salute, la vita, e su questo le possibilità di dissentire sono poche: “Noi possiamo dissentire sul fatto che si possa aprire il 21 o il 30, ma non possiamo dissentire sul fatto che si debba chiudere. C’è una specie di consenso obbligato, ma la politica democratica si fonda anche sul dissenso e sull’opposizione” argomenta la docente. “È difficile in così poco tempo adattarsi  a questo mondo di estrema radicalità senza rinunciare alle nostre prerogative liberali e democratiche”. La questione è che al momento non si vede una fine a questa situazione. E’ impossibile determinare quando si avrà un vaccino, e questo genera impotenza. E la mancanza di controllo, spiega la Urbinati, non fa parte del pensiero democratico: “La democrazia, così come tutti i governi politici, presuppone che le cose si possano controllare. Presuppone, soprattutto, che si possa controllare il tempo, che il tempo sia parte della dimensione della decisione. Questa volta il tempo ci sfugge e a noi è chiesto di adattarci al tempo: che può essere un giorno o due anni, non lo sappiamo”. Una incertezza che riguarda anche i modi che abbiamo per difenderci: Il Coronavirus è un nemico invisibile. Noi abbiamo armi per proteggerci da altri nemici: se il nemico è militare abbiamo gli eserciti. Se il nemico è terrorista, abbiamo l’intelligence. Se il nemico è il ladro, abbiamo la polizia. Noi abbiamo contromisure per tutti i nemici creati dall’uomo. Non abbiamo contromisure per tutti i problemi radicali che provengono dal mondo della natura, come un virus” spiega.

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E’ forse per questo che in Italia il premier Conte sia salito nei sondaggi dopo aver deciso il lockdown, che è un’arma: “In questo contesto noi abbiamo bisogno di armi, di qualcuno che prenda in mano la situazione, di una contromisura per questo nemico invisibile. Ecco perché quando Conte ha preso in mano la situazione – con decreti draconiani finché si vuole – c’è stato un senso di sollievo collettivo. Con la regolarità del fare si pensava potessimo essere in grado di controllare questo evento irrazionale.” Il problema è se poi subentra una abitudine, a farsi controllare, sopratutto se la storia di un paese racconta anche di regimi totalitari. Come il fascismo per l’Italia: “Il rischio c’è, in senso assoluto: le democrazie costituzionali prevedono una regolarità di decisione in un’ordinarietà di eventi. Però, quando vieni dal fascismo, come noi, eviti di dare a qualche organo dello Stato un potere emergenziale. Da noi, nonostante tutto, è ancora il Parlamento il luogo della decisione”. Insomma, il rischio di finire come l’Ungheria di Orban non c’è, per la docente: anche perchè, secondo la sua analisi, “l’uomo solo al comando” non funziona, anzi crolla in questa situazione: gli esempi di Trump, Johnson e Bolsonaro sono chiari. Piuttosto, c’è il rischio del “governo degli esperti”: “È la svalutazione della deliberazione politica a favore della deliberazione dei cosiddetti esperti: tecnici o scienziati. Una via che è contraria alla politica quanto la forza e la violenza di un regime militare o poliziesco. Perché non consente intromissione o controllo da parte di non competenti o non esperti. Ha in mano il potere di decisione senza discussione . A me questo aspetto colpisce molto e mi rende molto dubbiosa”.

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Per la Urbinati non si tratta di una sorta di tecnocrazia: è qualcosa di peggio. Perchè alla fine, a comandare attraverso il controllo, potrebbero essere i dati, gli algoritmi. Come in Corea del sud, dove si pensa di introdurre braccialetti per tracciare gli individui. “Se accettiamo la dimensione del controllo sociale attraverso i dati è la morte della politica, è davvero la fine di tutto. Dobbiamo aspettare il vaccino comunque. E queste scorciatoie non solo non ci faranno arrivare prima, ma ci esporranno a un rischio enorme”. Ed il rischio è quello di “orientalizzare” la nostra società: i cinesi – ma non solo loro – sono abituati a essere monitorati, controllati ed eterodiretti. Rinunciano alla libertà individuale in cambio di pace sociale e di benessere. Si parla però di controllo sociale, sempre più assoluto: “Per noi è un salto mentale ed esistenziale enorme: un chip sottopelle magari, che ci dice se abbiamo la febbre, che controlla che non usciamo, che ci sanziona se lo facciamo penso che nemmeno Orwell ci avrebbe pensato. È uno scenario, questo, che non solo non dobbiamo considerare, ma al quale dobbiamo strenuamente resistere. Preferisco il rischio di ammalarmi della sorveglianza totale. Che poi: quando passo di fianco a uno che è ammalato che succede? Il mio telefono suona, mi avvisa che ho di fianco il nemico? E una volta che ho a fianco il nemico cosa faccio? Scappo? Lo uccido? Questa non è ipertecnologia, questo è lo stato di natura” conclude preoccupata Nadia Urbinati.

 

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