Coronavirus, il dramma dei pazienti oncologici di cui non si parla

L’impatto della pandemia di coronavirus sta determinando conseguenze che vanno oltre alla malattia: è il caso, ad esempio, dei pazienti oncologici. Visite rimandate, chemioterapie annullate, controlli rinviati “a data da destinarsi”.

Un disastro che forse era annunciato: ma che sta mettendo a rischio la vita di tantissimi pazienti oncologici. Gli ospedali italiani, presi d’assedio dal coronavirus, in molti casi hanno fatto tilt: la conseguenza è l’annullamento di visite, controlli, chemioterapie, radioterapie, diagnostica e interventi chirurgici. Il tutto a danno di pazienti oncologici, già nella normalità sottoposti ad uno stress quotidiano emotivo e fisico. A cui ora si aggiunge l’incertezza: per un malato di cancro rinviare una visita o peggio ancora un intervento chirurgico può fare la differenza tra la vita e la morte. L’associazione Codice Viola – che si occupa nella normalità di tumori al pancreas – ha lanciato un sondaggio, rivolto non solo ai pazienti pancreatici ma in generale a quelli oncologici. I risultati sono drammatici: il 36% delle prime visite è stato cancellato, il 19% di radio e chemioterapie rinviate o addirittura annullate. Il 50% delle visite di controllo ha subito ritardi: di qualche giorno a chi è andata bene, in molti casi “a data da destinarsi”, per qualcuno addirittura è stata cancellata per “impossiblità di avere in tempo esami diagnostici”. A proposito di diagnostica: il 36% degli esami sono saltati (rinviati o addirittura annullati). Clamoroso il dato sugli interventi chirurgici: rinviati a data da destinarsi nel 64% dei casi. Le percentuali sono state calcolate, ovviamente, sul campione di pazienti oncologici che ha risposto al sondaggio, che è consultabile sul sito internet dell’associazione Codice Viola. Meteoweek ha commentato i risultati insieme a Francesca Pesce, che fa parte dell’associazione ed è lei stessa una paziente.

Di cosa si occupa l’associazione Codice Viola? 

«Siamo una associazione nata un paio di anni fa dalla volontà di un gruppo di familiari di pazienti malati di tumore al pancreas. L’obiettivo era quello di condividere esperienze, competenze e contatti per aiutare la comunità di malati ad orientarsi nelle cure, a vivere meglio, a contribuire al miglioramento dell’offerta sanitaria per quel che riguarda questa malattia. L’associazione poi è cresciuta: sia familiari che pazienti».

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Vi state occupando, in questa fase di emergenza, del problema dei pazienti oncologici che, a causa proprio della pandemia, non riescono più a venire seguiti correttamente da ospedali ed ambulatori. Esiste un problema collegato all’epidemia per i pazienti oncologici?

«Intanto diciamo che per i pazienti oncologici esiste più che per le persone sane, come indicano i dati statistici rispetto le persone decedute. Una percentuale molto alta di deceduti era malata di tumore. Se a questo aggiungiamo che anche il diabete è un fattore di maggior rischio, e molti pazienti di tumore – ad esempio al pancreas – sono affetti da diabete prodotto dalla malattia, ci rendiamo conto della grande fragilità in questa situazione dei malati oncologici. Poi c’è l’immunodepressione, indotta dalla chemioterapia, che è un’altro elemento che va ad aumentare i rischi».

E poi c’è un altro rischio molto forte per i malati oncologici in questa fase: la difficoltà a curarsi. Visite annullate, terapie rimandate, interventi chirurgici posticipati. Codice Viola se ne sta occupando: siamo in emergenza?

«Abbiamo lanciato un sondaggio proprio sulla base delle richieste di aiuto che ci arrivavano dai pazienti. Consapevoli di queste richieste, volevamo capire quanto fosse diffuso il problema e che percezione di rischio avessero i pazienti. Dopo le prime 500 risposte, con il sondaggio ancora aperto abbiamo elaborato delle statistiche. Abbiamo verificato che le prime visite in molti casi sono state rimandate o annullate: per prima visita intendiamo anche un consulto, magari un secondo parere richiesto ad un medico diverso da quello che ha fatto la diagnosi. E’ il dato che ci ha stupito meno, anche se resta il fatto che tante persone si sono viste cancellare le prime visite, considerate non urgenti. Le chemioterapie non sono state annullate in larga parte: per il 67% sono rimaste invariate. Quello che abbiamo saputo da pazienti ma anche da medici ed infermieri è che gli ospedali, per cercare di ridurre il rischio di contagio e quindi il numero di volte che un paziente si reca in ospedale hanno allungato i tempi tra un’infusione ed un’altra di chemioterapia. Ad esempio, invece che farla ogni due settimane la facevano ogni tre, magari aumentando la dose dell’infusione. Anche perchè non è che si possono cambiare i protocolli a caso. Questo va benissimo se l’oncologo che prende la decisione è competente in materia. Ma non sempre è così: per cui noi non sappiamo se tutte le decisioni prese lo siano state a ragion veduta o meno. Gli ospedali più “seri” hanno iniziato a chiamare uno per uno i pazienti, a fare un triage telefonico e a cercare di capire cosa potessero rinviare e cosa no, parlando con i malati. I pazienti fuori regione si sono visti quasi tutti annullare gli appuntamenti: un pò per la difficoltà di viaggiare, un pò perchè se devi tagliare tagli le persone che sono più lontane. Molte vengono fatte da remoto. Spesso sono gli stessi pazienti che, per la paura del contagio, hanno annullato gli appuntamenti. Sopratutto all’inizio, quando si pensava che la situazione di emergenza sarebbe durata poco. Dopo due o tre settimane però hanno iniziato a capire che era rischioso: i medici stessi hanno fatto presente il rischio, e hanno spinto per riprendere controlli e terapie».

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Per quel che riguarda la chirurgia oncologica? Come è la situazione?

«La chirurgia è saltata praticamente tutta, tranne quella più urgente. Chi doveva fare una rimozione di un tumore spesso , ad esempio proprio nel caso del pancreas, si è visto allungare le chemioterapie. Parliamo di quelle che fanno prima dell’operazione, che vengono fatte per ridurre il tumore e far arrivare il paziente sotto i ferri nelle condizioni migliori alla riuscita dell’intervento. Le stanno allungando quasi tutte, queste terapie: e magari questo non è sempre negativo. Ma chi ha urgenze, se non aveva già l’operazione calendarizzata ha difficoltà a trovare un centro di eccellenza che opera come si deve. Faccio l’esempio del tumore al pancreas: i centri che operano in modo ottimo sono pochissimi in Italia. Quelli cosidetti “ad alto volume”, che fanno più di 50 operazioni al pancreas all’anno, sono pochissimi e tutti al Centro-Nord. Chi sta ad esempio in Sicilia e deve farsi operare e non può arrivare a Verona o a Milano si fa operare all’ospedale più vicino, che magari ha effettuato due o tre operazioni al pancreas, a dire tanto. Questo vuol dire che quel paziente sta facendo una scommessa sulla sua vita, che normalmente non farebbe. Non ha però alternativa perchè a Verona o a Milano non hanno disponibilità, perchè le chirurgie sono quasi tutte chiuse perchè manca il sangue, mancano gli anestesisti rianimatori, tutti dirottati sull’emergenza coronavirus». 

La sanità privata in che modo si inserisce in questa situazione? Riesce ad offrire una alternativa, almeno per la diagnostica?

“Faccio un esempio per spiegare quello che sta succedendo: in alcune regioni hanno ordinato che i centri diagnostici privati fossero messi a disposizione per le emergenze Covid, e che non potessero fare altro. Il risultato è che molti centri privati di diagnostica hanno deciso che non fosse conveniente restare aperti solo per le urgenze: meglio chiudere. Chi quindi aveva appuntamento per fare una Tac o una risonanza magnetica se l’è vista cancellare. Si riescono ad ottenere tac, risonanze e biopsie solo se si ha il referto di urgenza. Se il medico l’aveva prescritta tre mesi fa, ad esempio, ed il medico l’aveva prescritta come non urgente perchè era un controllo regolare, ecco che si salta la prenotazione. Tutti casi che ci arrivano e che magari non emergono chiaramente dai dati di un sondaggio, ma che spiegano bene quello che sta succedendo”.

Di che numeri stiamo parlando, per quel che riguarda il sondaggio?

«Al momento hanno risposto 550 persone, con una netta prevalenza di persone malate di tumore al seno, al pancreas, o affetti da linfomi. A noi non sembrava nemmeno un numero così elevato di contatti: invece abbiamo scoperto che per un sondaggio di questo tipo sia un campione assolutamente rilevante. Noi non miravamo ad essere statisticamente rappresentativi, anche perchè lo abbiamo lanciato sui social, quindi chi voleva rispondeva. Però le risposte sono state piuttosto unanimi. Noi abbiamo anche chiesto, al di là di quanti appuntamenti fossero stati cancellati, se nel cancellare fossero state date spiegazioni esaurienti o prospettive sul come e quando sarebbe stato riaggiornato l’appuntamento, di cosa il paziente avrebbe potuto fare nel frattempo. Quello che si è notato è che in pochissimi casi c’è stata una attenzione alla comunicazione da parte di chi ha chiamato per annullare. In molti casi i pazienti sono stati lasciati con una incognita: “e adesso?” Parliamo di pazienti che vivono già nell’ansia costante, non sanno come andrà a finire la loro malattia, la preoccupazione e lo stress aumentano a questo punto esponenzialmente».

Cosa serve fare, secondo voi? Questa è una emergenza che va affrontata e risolta subito, non si può attendere che termini l’epidemia di coronavirus. Che input si può dare alle istituzioni?

«Il problema è che in un paese in cui la sanità è regionale e dove ogni regione fa quello che gli pare, quello che pensa meglio, è molto difficile dare una indicazione nazionale uguale per tutti, perchè cadrebbe nel vuoto. Ci sono state le associazioni dei medici, l’Aiom (Associazione Italiana Oncologia Medica) che hanno dato indicazioni, linee guida che comunque sono molto generali, generiche. Dei suggerimenti ragionevoli che ognuno dovrebbe fare a prescindere dai consigli. E’ evidente che c’è un problema di offerta di sanità pubblica disomogenea sul territorio già in partenza, che però non trova una soluzione in tempi immediati. L’unica soluzione rapida che ci viene in mente è quella di mettere in sicurezza i reparti di oncologia e creare percorsi separati per i pazienti oncologici. Contattarli uno per uno, parlarci al telefono, cercare di rassicurarli rispetto alle scelte che si fanno. Se e quando è possibile bisognerebbe fare assistenza domiciliare, ricorrere alla telemedicina è un’altra possibilità. Alcuni ospedali hanno allestito piattaforme di telemedicina per risolvere il problema immediato. Ci sono pazienti che abitano in luoghi distanti dal loro ospedale che riescono a prenotare appuntamenti di telemedicina, malati del Sud in ospedali del nord, magari. Che non è il massimo, ma è sempre meglio di niente».

Cosa è esattamente la telemedicina?

«Si tratta di consulti on line in diretta, che però per avere una valenza sanitaria devono avere determinate caratteristiche: non può essere la chiamata via Skype. E’ necessaria una piattaforma che permetta di inviare referti medici, analisi, risonanze, tac che il medico può guardare e che magari registri la conversazione, in modo che rimanga traccia, in cui sia possibile insomma fare una visita medica vera e propria anche se in remoto. Qualcuno lo sta già facendo, sarebbe il caso di approntare questi sistemi adesso, in fretta anche per il futuro. Ma rimettere in sicurezza i reparti di oncologia e riaprirli è la necessità più stringente. Ad esempio il fatto che l’ospedale Gemelli di Roma, che è un polo oncologico importante, abbia bloccato le prime visite è un grosso problema, come il fatto che molti ospedali abbiano interrotto le attività ordinarie. I pazienti non sanno più a chi rivolgersi». 

Qui il link del sondaggio dell’associazione Codice Viola, per chi fosse interessato ad approfondire.

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