Coronavirus nel rene, prima foto europea: la scoperta dell’Istituto Mario Negri

Una scoperta tutta italiana è in grado di apportare grandi contributi alla ricerca, intenta a trovare una cura al coronavirus: si tratta di una primissima foto del virus all’interno di una cellula del rene.

Giuseppe Remuzzi - coronavirus foto rene
professor Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto Mario Negri di Bergamo

Un importante successo quello ottenuto dall’Istituto Mario Negri di Bergamo: l’equipe di esperti è riuscita a individuare e a “fotografare” il coronavirus all’interno di una cellula renale. Si tratta della prima foto europea del virus nel rene, e a parlarne ai giornalisti di Fanpage.it è stato il professor Giuseppe Remuzzi, il direttore dell’Istituto.

LEGGI ANCHE: Fase 2, il modello tedesco del Kurzarbeit: meno ore ma stesso stipendio
LEGGI ANCHE: Giochi militari di ottobre a Wuhan, gli atleti accusano: “Avevamo sintomi”

Questa scoperta è fondamentale ed è la prima volta che viene evidenziata in Europa. Molti pazienti muoiono per insufficienza respiratoria ma moltissimi altri muoiono per la compromissione di altri organi, in particolare per insufficienza renale“, ha spiegato il professore. Grazie a questa foto, infatti, è stato accertato per la prima volta in Europa come il “salto” del virus avvenga anche oltre le barriere polmonari, fino a raggiungere altri organi.

“Il fatto di aver trovato il virus nel rene ci fa capire che si attacca alle strutture renali, cosa che non sapevamo prima, danneggia l’endotelio, danneggia l’epitelio, stacca queste cellule, fa passare proteine attraverso le urine e questo comporta insufficienza renale. In questo modo sappiamo come non farlo arrivare al rene. Averlo trovato è una cosa fondamentale per trovare la soluzione alla malattia”, ha sottolineato il professor Remuzzi.

foto coronavirus nel rene
Coronavirus nel rene – foto di Fanpage.it

Coronavirus nel rene, scoperta fondamentale per trovare la cura

La fotografia del coronavirus nel rene, allora, è importantissima per il proseguimento degli studi e delle ricerche atte a trovare una cura all’infezione. “Siamo riusciti a capire quali sono i sistemi che entrano in gioco quando il sistema immune invece di proteggerci, ci danneggia. C’è una reazione spropositata del sistema immunitario che crea queste polmoniti difficilissime da curare”.

Difficilissime da curare e innescano, purtroppo, una reazione a catena. “Subito dopo il virus attacca il fegato, il cuore, anche lì ci sono recettori per il virus. Una volta che ha superato le barriere polmonari, raggiunge arterie e vene, poi passa in tutti gli organi. Uno studio di ‘Science’ di questi giorni dice che se non muori per insufficienza respiratoria, muori per insufficienza renale. Qui stiamo studiando cosa porta a questi danni e cosa fa in modo che il virus arrivi ai vasi sanguigni attivando il sistema del complemento”.

LEGGI ALTRE NOTIZIE DI CRONACA: CLICCA QUI

Per contrastare questo drammatico decorso, gli esperti dell’Istituto Mario Negri di Bergamo hanno hanno pensato a farmaci che inibiscono l’attivazione del sistema del complemento. Somministrandoli ai pazienti positivi al Covid-19 ne hanno poi tracciato uno studio, che mostra come l’Eculizumab sia al momento il prodotto più efficace.

“Lo usiamo quando c’è una mutazione del sistema del complemento, il quadro più drammatico riguarda i bambini, la cui prognosi era terribile fino a qualche tempo fa. […] Questo farmaco, invece, li salva. Il problema è che un anno di trattamento costa 400mila euro. Ma la ditta che produce questo farmaco a questo prezzo, per i pazienti Covid ce l’ha regalato” ha raccontato il professore a Fanpage.it. Tuttavia, ha anche sottolineato come i risultati fin qui ottenuti non garantiscano efficacia al 100%. “Non sappiamo ancora con certezza gli effetti. Può darsi che nelle fasi iniziali della malattia sia meglio usare il farmaco che ferma il complemento, può darsi che nella fase più avanzata siano meglio gli anticorpi”, ha dunque concluso Giuseppe Remuzzi.

Impostazioni privacy