Covid, Capua: gestione salute va ripensata e regole base sanità rispettate

Covid, Capua: gestione salute va ripensata e regole base sanità rispettate. Così l’ex virologa Ilaria Capua in un’intervista a Open

Covid, Capua: gestione salute va ripensata e regole base sanità rispettate
Covid, Capua: gestione salute va ripensata e regole base sanità rispettate

Ilaria Capua si racconta in un’intervista al quotidiano online Open parlando della sua esperienza di virologa, non sempre facile, e del libro che ha scritto in cui paventa il futuro che ci attende dopo il Coronavirus. Nel libro, intitolato “Il dopo“, uscito da poco ed edito da Mondadori, Capua non fa previsioni ma “sanità pubblica”. “Mi piace vederla come un’opera di educazione sanitaria”, spiega, “di avvicinamento alle grandi tematiche scientifiche che oggi più che mai sono al centro del dibattito”. 

Capua, che ha studiato i virus per 30 anni, ha ottenuto grandi successi nel suo campo soprattutto nella ricerca sull’influenza aviaria ed è la prima donna che ha vinto il Penn Vet World Leadership in Animal Health Award. Poi, ha vissuto una brutta esperienza alcuni anni fa, quando l’hanno accusata di aver diffuso ceppi di aviaria per ottenere guadagni dalla vendita dei vaccini. Accuse tutte cadute nel 2016 poiché il fatto non sussiste, ma che ancora la fanno star male. 

Ora il suo libro appena uscito, Il dopo, è tra i più venduti nel nostro Paese. “Non è stato facile per me riemergere e diventare uno dei punti di riferimento su questo argomento. Avevo fatto pace con il fatto che i virus avrebbero riguardato solo una parte della mia vita, una stagione che considero chiusa. E invece questo virus è arrivato e si è ripreso uno spazio“.

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Capua ha raccontato che dopo un lungo stop in cui aveva smesso di occuparsi di virus, è tornata a parlarne perché si era resa conto della troppa confusione di informazioni. Troppe fake news. “L’esperienza “trafficante di virus” mi ha fatto capire la portata della devastazione delle fake news che, per colpa dei social network, hanno un potere di penetrazione pazzesco. Possono influenzare l’andamento della malattia quanto regole e decreti“.

Parlando del virus nel nostro Paese, Capua sottolinea l’importanza di cambiare approccio, poiché “il virus fa il virus e per ora non è cambiato. Quello che fa la differenza è l’ospite e certe condizioni che girano intorno all’ospite: inquinamento, mobilità, sovraffollamento nei mezzi pubblici, con la conseguente difficoltà di mantenere livelli igienici elevati nel sistema del trasporto pubblico“.

Capua mette in evidenza anche come sia essenziale arrivare preparati a queste emergenze pandemiche dal punto di vista dei test, altrimenti i rischi sono molto alti. “La stragrande maggioranza dei test non sono stati validati, sono stati lavorati in emergenza con procedure di campionamento diverso. Ora, una cosa è fare i tamponi in un paesino su un cucuzzolo della montagna, altra è farla all’ospedale di Bergamo dove sono positivi anche i telefoni. La popolazione campionata è importantissima. In epidemiologia il denominatore deve essere comune altrimenti non si capisce nulla. E invece i numeri sono stati e continuano a essere completamente inaffidabili. C’è stata una folle corsa ai reagenti dalle aziende che producono enzimi: molti hanno grattato il fondo della pentola e mandato in giro chissà che cosa. I test fatti in emergenza sono molto rischiosi, per questo occorre averli prima”. 

Capua, infine, ricorda come il mondo della ricerca sia sottofinanziato e in certi casi competitivo e non “convergente“. “È arrivato il momento di capire che non si può usare questo sistema per gestire le pandemie. Tuttavia per arrivare a una ricerca di convergenza ci vorranno 20 anni perché la testa delle persone deve cambiare. Quando ai tempi dell’aviaria invocai la trasparenza dei dati e la condivisione su piattaforme open access mi diedero della matta: dicevano ‘non sa di cosa parla’. Ma sono gli stessi archivi dove oggi vanno i genomi del Coronavirus”.

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La gestione della nostra salute va ripensata: la sanità, in particolare quella pubblica, sarà sostenibile nel tempo soltanto se cerchiamo di far diventare pazienti i pre-pazienti il più tardi possibile. È un lavoro erculeo, che richiede un grosso sforzo di ripensamento a cominciare dagli istituti di igiene e profilassi, che sono i posti più tristi di tutti gli ospedali: abbandonati, sotto-finanziati, trattati sempre come se potessimo farne a meno. Covid-19 ci ha dimostrato che le regole base della sanità pubblica bisogna rispettarle”. 

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