Ucciso dai genitori perché piangeva: Gabriel ha lottato disperatamente per liberarsi

A Cassino Gabriel, 28 mesi, ha lottato disperatamente per 7 minuti per liberarsi dalla presa della madre che stava cercando di soffocarlo.

Ucciso dai genitori perché piangeva: Gabriel ha lottato disperatamente

7 minuti per respirare, 7 minuti per vivere: 7 disperati tentativi di sottrarsi ad una violenza perpetrata di chi avrebbe dovuto proteggerlo; così, secondo l’autopsia è morto il piccolo Gabriel, 28 mesi compiuti e un sorriso che racconta una storia ancora da scrivere. Donatella Di Bona, la sua mamma, non gli avrebbe lasciato scampo, allentando la presa solo quando il figlio era ormai immobile, senza che il papà cercasse di fermarla. Era lì, fermo, inerme. Gabriel è stato ucciso il 17 aprile dello scorso anno a Piedimonte San Germano, piccolo centro alle porte di Cassino, soffocato dalla cattiveria di sua madre e dall’indifferenza del padre. A stabilirlo il medico legale Stefano Manciocchi, a cui la Procura di Cassino ha affidato la consulenza medico-legale sulla salma del piccolo, che ha ora illustrato in aula, davanti alla Corte d’Assise del Tribunale di Cassino, le sue conclusioni e mostrato anche le immagini del corpicino del bimbo, morto soffocato dopo la terribile agonia, come evidenzierebbero anche i graffi sul naso e i lividi sulle guance.

Dubbi sugli spostamenti del padre di Gabriel – meteoweek

Il processo a Donatella Di Bona e Nicola Feroleto

Al processo sul banco degli imputati Donatella Di Bona e Nicola Feroleto, che, secondo i pm Valentina Maisto e Roberto Bulgarini Nomi, si erano appartati in auto in un campo nei pressi della casa di lei, in contrada Volla, per avere un rapporto sessuale. Gabriel dormiva sul sedile posteriore e, svegliatosi all’improvviso, avrebbe iniziato a piangere, interrompendo le intenzioni della coppia. La madre lo avrebbe afferrato ponendo fine alla sua esistenza mentre il padre li guardava. I due avevano avuto Gabriel ma il Feroleto continuava a vivere con la compagna nella vicina Villa Santa Lucia, fino a quella sera; al folle gesto, alla corsa per costruirsi un alibi. La Di Bona aveva raccontato che il figlio era stato investito da un’auto pirata, ma alle fine era crollata davanti alle domande sempre più pressanti degli inquirenti, che avevano compreso immediatamente che qualcosa nella ricostruzione della donna non tornava. La 29enne aveva dichiarato, parlando di Feroleto: “Un po’ guardava e poi si girava, prima guardava in aria, poi verso la macchina, poi di lato. No lui non ha fatto nulla, perché non gliene importa. Vabbè il bambino è stato ucciso da me. Lui non avrebbe messo una mano addosso per non essere incolpato”.

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L’uomo, però, ha sempre dichiarato di non essere presente al fatto. A processo la nonna materna della vittima, Rocca Di Branco, e gli zii, Pio Francesco Di Bona e Luciano Di Bona, si sono costituiti parte civile. Donatella Di Bona ha scelto di essere giudicata con rito abbreviato, condizionato a una perizia psichiatrica che sta eseguendo il professor Gabriele Mandarelli. Il processo inizierà il 15 settembre.

 

 

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