Da Monti a Draghi, passando per Letta: il ruolo dell’Ue nei governi italiani

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha affidato all’ex presidente della Bce Mario Draghi il compito di creare un nuovo esecutivo, per dare “immediatamente vita a un nuovo governo, adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti“. Una manovra di emergenza, attuata per evitare il rischio ingovernabilità. Una manovra, però, che si inserisce in una tradizione italiana di lungo corso: nei momenti di crisi, per uscire dallo stallo si scelgono personalità di spicco fortemente europeiste. 

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MeteoWeek.com (da Getty Images)

Sembra di riavvolgere il nastro, ma in uno scenario politico e sociale totalmente mutato: il presidente della Repubblica ha affidato a una personalità di “alto profilo il compito di creare un esecutivo in grado di trascinare l’Italia fuori dalla crisi. E questa personalità è scelta tra le fila di figure competenti e fortemente europeiste, con uno sguardo rivolto oltre frontiera. Le differenze con il passato ci sono, è quasi inutile ribadirlo: il governo Mario Draghi (se nascerà, ma nascerà) potrà disporre di una ingente quantità di risorse da collocare per la ripartenza dell’Italia. Nulla di più lontano dall’austerity a cui era stato costretto il governo Monti, un governo puramente tecnico, anche lui di alto profilo, anche lui scelto dal presidente della Repubblica per trascinare l’Italia fuori da un altro tipo di crisi. Eppure, lo script che torna è sempre quello, e l’Italia, prima o poi, dovrà fare i conti con questa tendenza. Il rischio è che la politica deleghi alla tecnica scelte che non è in grado di prendere o che non vuole prendere, o – al contrario – che la tecnica si travesta da politica per ottenere maggiore legittimità. In questo caso, anche se siamo felici per la scelta di alto profilo, i rischi ci sono entrambi.

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Qualche precedente significativo, tra differenze e costanti

All’interno di questo scenario, nel corso della storia l’Italia si è divertita a creare scale di grigi. I governi prettamente tecnici, nel corso degli ultimi trent’anni sono stati quattro: Ciampi nel 1993, Dini nel 1995, Monti nel 2011, e oggi Draghi. Nel 2011, come sappiamo, ci fu il governo Monti. La situazione era un po’ questa: il governo tecnico fu fortemente voluto per gestire la crisi in cui era precipitato il Paese a causa dell’innalzamento del tasso di interesse per il rinnovo del debito pubblico. In quel periodo l’Italia fu vittima di una crisi di fiducia dei mercati internazionali, legata alla sua presunta incapacità di ripagare il proprio debito pubblico. Il governo Berlusconi IV, al tempo, non ottenne la maggioranza alla Camera sul rendiconto generale dello Stato, il 12 novembre Berlusconi rassegnò le dimissioni e il 16 novembre Monti – senatore a vita e già commissario europeo – prestò giuramento. Anche se il contesto europeo, politico ed economico era completamente differente rispetto a quello di oggi, delle somiglianze restano evidenti: l’Ue che chiede stabilità e competenza perché ci sono delle crisi da affrontare, la politica italiana si rivela o viene ritenuta incapace, si opta per un profilo tecnico europeista.

Letta e Gentiloni: una storia diversa ma la barra resta l’Ue

Un altro precedente significativo è rappresentato dal governo Letta, nel 2013: anche questo viene considerato da molti analisti un governo del presidente. In realtà, le sfumature sono molte: Letta fu scelto dal presidente della Repubblica Napolitano, ma diede vita a un governo di larghe intese che riunì esponenti del Pd, esponenti del Pdl, di Scelta Civica e tecnici. Letta venne scelto per superare lo stallo legato alle elezioni politiche, finite quasi in parità fra gli opposti schieramenti, e venne scelto dopo il tentativo fallito di formare un governo da parte di Pierluigi Bersani. Alla fine, il governo Letta fu un ibrido che potrebbe avvicinarsi molto (nel mix tecnici-politici) al volto che assumerà il governo Draghi. Con una differenza: Letta era un parlamentare. Così come Gentiloni, chiamato dopo Renzi a gestire le redini del governo. Come visto, le combinazioni sono tante, le definizioni sono labili, ma la costante resta una: l’europeismo.

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Enrico Letta a seguito successivamente ha assunto ruoli di carica internazionale, come quello presso L’école Sciences Po Paris (Institut d’études politiques), con il suo corso su Europa e populismi. Mentre Gentiloni è attualmente Commissario Ue all’Economia. Senza dimenticare, volendo spingerci ancor più in là, lo stesso Giuseppe Conte: non era un parlamentare, non era appartenente a nessun partito (anche se scelto dal M5s), ed è stato scelto nel Conte I proprio in qualità di figura rassicurante, diplomatica, in grado di scansare eventuali timori derivanti da due partiti euroscettici, come M5s e Lega. Non è un caso se ora, le forze politiche per dare il sostegno a Draghi dovranno risolvere una questione dirimente: non più più destra-sinistra, ma europeismo e anti-europeismo.

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