Governo Draghi, oggi proseguono le consultazioni: ecco da dove si riparte

Inizia oggi il secondo giorno di consultazioni tra i gruppi parlamentari e Mario Draghi. Il presidente del Consiglio incaricato inizierà dalle Autonomie per terminare con Forza Italia. Intanto si ammorbidiscono i toni del M5s, il Pd riesce a ricucire la vecchia coalizione ma il Movimento è costretto a fare i conti con le diverse correnti al suo interno. Il centrodestra decide di presentarsi diviso alle consultazioni. Salvini: Draghi deve scegliere tra me e Grillo. 

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Dopo le prime consultazioni di ieri, oggi il premier incaricato Mario Draghi proseguirà gli incontri con i gruppi parlamentari per parlare di programmi e ascoltare le loro posizioni. I colloqui inizieranno alle 11 e nella giornata di oggi sarà il turno del gruppo per le Autonomie, di LeU, di Italia viva (unita a Psi al Senato), di Fratelli d’Italia, del Pd, di Forza Italia. Come si evince dal calendario, il centrodestra – nonostante i tanti appelli alla compattezza – ha deciso di presentarsi diviso alle consultazioni con Draghi. Restano distanti, infatti, le posizioni dei singoli leader: mentre Forza Italia appare molto più disponibile a un sostegno, la Lega dialoga ma pone paletti e Fratelli d’Italia insiste sul voto. In particolare è Matteo Salvini a dover fare i conti con la sua base: metà è composta da industriali e governatori del Nord tendenzialmente favorevoli al governo Draghi (rappresentati, ad esempio, dalla posizione di Giorgetti); l’altra metà invece è per la linea di lotta e di rottura dura e pura. In questo senso Salvini ci pensa e pone condizioni. L’ultima tra queste: “Draghi dovrà scegliere tra le richieste di Grillo e quelle nostre che sono il contrario. Meno tasse o più tasse. Noi siamo liberi. Meno tasse e meno burocrazia”. Totalmente favorevole a un governo Draghi, invece, Giancarlo Giorgetti, che ribadisce: “Draghi è un fuoriclasse come Ronaldo. Uno come lui non può stare in panchina“.

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Tra M5s e Lega

L’inconciliabilità tra i due principali partiti nel Parlamento appare evidente anche dalle parole dei singoli esponenti. Per questo il paletto di Salvini (o noi o il M5s) sembra confermato da un’adesione di fondo. Lo confermano le ultime evoluzioni di ieri pomeriggio: Beppe Grillo (diretto a Roma) ha ammorbidito i toni, sembra allinearsi sulla posizione di Di Maio, ma non completamente. Secondo Grillo Draghi dovrà difendere “tutti i provvedimenti portati a casa dal governo Conte, come il reddito di cittadinanza, il decreto dignità e le norme anticorruzione” e poi puntare “su reddito universale, una imposta patrimoniale per i super-ricchi, acqua pubblica, blu economy, digitalizzazione, conflitto di interessi e banca pubblica“, riporta il Corriere. Neanche a farlo apposta, poco dopo Giorgetti afferma: “Se il governo Draghi sarà la fotocopia del precedente non ci staremo“. Insomma, le due posizioni sembrano inconciliabili, anche se si guarda alla linea più aperturista della Lega, e molto probabilmente Draghi dovrà prendere una decisione a seguito delle consultazioni.

E il Pd?

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Il Pd sembra prepararsi a entrambe le evenienze. Da un lato salda la coalizione con il M5s, lo convince a valutare l’ipotesi Draghi, aggiungendosi alle voci di persuasione di Di Maio e Giuseppe Conte, e rilancia la saldatura con il M5s, che secondo il segretario dem era entrata nelle mire delle manovre di Renzi: “Il vero motivo dell’aggressione di Matteo Renzi, che ha fatto cadere il governo, era la sua paura che si saldasse un’alleanza competitiva (tra M5s, Pd e Leu, ndr) che lasciasse fuori Italia viva e che la facesse morire”. Dall’altro lato, Zingaretti apre anche alla Lega, ma questa volta ponendo dei paletti: “Se la Lega si dicesse pronta ad entrare in un governo europeista, con un programma europeista e guidato dall’ex Presidente della Banca centrale europea, ne parleremo“, afferma Zingaretti per La Stampa. In sostanza, il no alla Lega da parte del Pd dipenderà solo da un elemento: il suo europeismo. In questo caso, la situazione è particolarmente interessante: il Pd si apre a ogni ipotesi, ma per la Lega pone delle condizioni; la Lega se vuole accettare dovrà fare i conti con le sue correnti euroscettiche; il M5s se vuole accettare dovrà fare i conti con le sue correnti anti-establishment (che sono le stesse da cui ha avuto origine il Movimento).

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E a proposito del Movimento…

Proprio a proposito del Movimento, colpisce l’intervento dell’ex premier Giuseppe Conte in piazza Colonna davanti ai cronisti: dopo aver ringraziato Mario Draghi e il capo dello Stato, sostiene che anche lui sta lavorando e continuerà a lavorare per il bene del Paese. Conte avrebbe anche sottolineato – in linea con Di Maio – l’esigenza di un governo di caratura politica, e non tecnica, e avrebbe lanciato un messaggio al Movimento: “Io ci sono e ci sarò“. Insomma, Conte non vorrebbe abbandonare la scena, anzi, il suo discorso appare più quello di un leader politico di una nuova coalizione che quello di un premier uscente pronto a tornare alla vita precedente. Lo conferma anche il saluto rivolto ai vecchi compagni di coalizione, Pd e LeU, dei quali dice: “E dico agli amici del Pd e di Leu di continuare a lavorare tutti insieme perché il nostro progetto politico è forte, concreto che aveva iniziato a dare buoni frutti”. La linea ormai è chiara: Conte rinsalda l’asse Pd-M5s, un asse per il quale Zingaretti ha già speso parole gentili. Che siano pronti ad entrare insieme nel nuovo governo Draghi? E’ molto probabile. A quel punto si apriranno due esigenze: il M5s dovrà fare i conti con la linea più ortodossa del Movimento, e la Lega dovrà fare i conti con il diktat di Salvini (o il M5s o noi).

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