Anche Jackson Browne, il volto pulito del rock and roll, ha il coronavirus

Ha 71 anni e per anni è stato perseguitato dal suo viso da attore hollowoodiano. Ha inciso con Springsteen canzoni memorabili. E ora dice… “potrei aver preso quel fucking virus da un microfono…”

Jackson Browne live sul palco del TEC Awards ad Anaheim (Photo by Jesse Grant/Getty Images Getty Images for NAMM)

Running on Empty

“…E corro. Corro sul nulla, corro verso il sole, corro a occhi chiusi, ma continuo a correre. Anche se corro indietro…” È uno dei versi più affascinanti e poetici nella storia del rock americano e lo ha scritto Jackson Browne, cantautore 71enne che da oggi allarga la schiera degli artisti che hanno contratto il coronavirus.

Lo ha dichiarato lui stesso con la tipica ironia che lo contraddistingue… “avrei un disco in uscita… se proprio mi dovesse succedere qualcosa preferirei fosse dopo. Hai visto mai che con un album postumo faccio la #1”.

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Un viso adolescente

Browne è un fuoriclasse della rock song americana: è amico da sempre di Bruce Springsteen con il quale ha suonato centinaia di volte. I due si amano profondamente: “Io vorrei sapere scrivere canzoni come luidice Brownema lui non ammetterà mai di invidiare la mia faccia da adolescente”. Già, perché Jackson Browne, un po’ come Paul McCartney è condannato a questa faccia goodlooking che lo ha reso un sex symbol quando lui voleva semplicemente essere una rockstar. I primi dischi non glieli facevano incidere: “È figo, faccia l’attore…”. Dando un altro senso alla fase Browne continuò a incidere dischi e si mise con una delle donne più belle del mondo, Daryl Hannah, quella di Splash, una sirena a Manhattan (il primo grande successo di Tom Hanks), che oggi ha sposato Neil Young.

Come sta

“Ho sintomi lievi, non ho bisogno di farmaci, né di essere ricoverato in ospedale ma se mi chiedete com’è successo non lo so dire. Forse a New York quando il 12 marzo ho partecipato a una serata di beneficenza”.

A quella stessa serata c’erano tra gli altri Cyndi Lauper, la Dave Matthews Band e Warren Haynes: “Sono sempre stato bene e non mi sono mai accorto di nulla – dice oggi Browne – quando mi sono reso conto di avere un po’ di febbre e una strana tosse mi sono messo in quarantena volontariamente. Sento di molti ragazzi che vogliono lasciare il segno uscendo, sfidando il buon senso… Ai ragazzi dico… se davvero volete essere rock and roll, tappatevi in casa e scrivete una hit. State in casa e non esponete voi e altri al rischio”.

(Photo by Jesse Grant/Getty Images Getty Images for NAMM)

Il suo successo

Il più grande successo commerciale di Jackson Bronwe è stato “Running on Empty”, una splendida canzone in stile west coast per lui, nato da un militare della NATO in Germania e cresciuto a Los Angeles. Browne prima di diventare ricco e famoso, scriveva canzoni in quantità industriale per chiunque le chiedesse, ma non ci guadagnava un dollaro. Si dice ne abbia composto almeno duemila: la gente le conobbe dopo che finalmente il suo primo successo entrò in classifica.

Genesi di una canzone unica

La sua canzone più bella arrivò in un lungo pomeriggio noioso a bordo di un tour bus mentre la sua band si stava spostando da Spokane a Chicago, Illinois. Il brano lo aveva già pronto ma il testo non era completo: e pensando a quando spesso restava senza benzina perché era senza un dollaro, scrisse della sua band in tour, da una città all’altra, correndo avanti, ma ripensando sempre al passato. Alla ex ragazza, alle occasioni perdute, alle amicizie abbandonate. Una canzone meravigliosa della quale Springsteen disse…. “Damn, come ha fatto a scrivere così bene quello che volevo scrivere io?”

Browne come Hanks

Running on Empty è uno dei punti forti del film Forrest Gump quando Tom Hanks (anche lui ammalato e ricoverato in Australia), corre da una parte all’altra d’America. Il brano ha anche un seguito che in Italia molti conoscono con un titolo diverso dall’originale: è un brano acustico per chitarra voce e violino, struggente che si intitola “The Road”. Browne la registrò in una pausa del tour in una camera di un motel completandola poi sul palco. In italiano Ron la interpretò con un discreto successo intitolandola “Una città per cantare” (quante interurbane per dire “come stai?”, raccontare dei successi e dei fischi non parlarne mai…).

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That fucking virus

“Sono a casa da una decina di giorni, non è tanto ma sembra una eternità. Ciondolo dal piano al divano, dal letto alla cucina. Allo show di New York pare molti altri siano risultati adesso positivi.  Ma quando mi hanno chiesto di andare ho detto sì senza pensarci. Oggi stanno analizzando microfoni, alberghi, strumenti… quel fucking virus era dappertutto. Sto ascoltando musica. Sto guardando qualche show. Il mio non è un caso eclatante, sono solo uno che scrive canzoni e che è stato famoso per un po’ ma se posso approfittarne, dite alla gente e soprattutto ai ragazzi di non prendere questa cosa alla leggera.

“… Le persone hanno bisogno di qualche motivo per credere, ma io non conosco nessuno tranne me. Se ci vorrà tutta la notte, andrà tutto bene. Basta che ti faccia sorridere prima di andarmene e tornare a correre…”

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