In Polonia spopolano le “zone gay free”. Ue: “L’odio non va tollerato”

In Polonia più di 100 città hanno dato vita a zone “gay free”, ovvero “zone libere dall’ideologia Lgbtq”. Si tratta di risoluzioni iniziate nel 2019 e approvate innanzitutto in zone rurali. 

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Manifestazione a Cracovia contro le “zone gay free” (foto di Omar Marques, da Getty Images)

In Polonia sono già più di 100 le città e regioni che hanno creato “zone gay free”, ovvero “zone libere dall’ideologia Lgbtq”. Si tratta di risoluzioni già iniziate nel corso del 2019, approvate in larga parte in zone rurali e avallate dalle autorità locali che si sono rese sostenitrici di valori legati all’esclusività della famiglia tradizionale. A spiegare cosa vogliano significare iniziative del genere è Magdalena Dropek, come riportato dall’Espresso: “La mia associazione voleva organizzare una serata in uno di questi comuni. Ci hanno detto che non avrebbero organizzato ‘eventi ideologici’. Due mesi dopo, con fondi pubblici, hanno organizzato una conferenza omofoba”. Si tratterebbe di iniziative non limitate ai contesti rurali: “È assurdo che ancora nel 21esimo secolo, a Cracovia, nel mezzo dell’Unione europea, siamo esclusi dalla comunità solo per essere Lgbtq”. Ma è nelle campagne che si concentra una maggiore e più convinta adesione. A spiegarlo è Sławomir Kokol, giovane attivista Lgbtq della vicina cittadina di Bielsko-Biała, che racconta della nuova situazione nel comune di Wilamowice: “Non significa che non possiamo entrare o ci arrestino. Ma qui non ti senti il benvenuto, diciamo, e capisci subito che le autorità non sono dalla tua parte. Per venire devi essere coraggioso, insomma, di certo non puoi essere te stesso. Banalmente, è impensabile prendermi per mano con il mio ragazzo. Certo, non subiamo violenza fisica, ma conosciamo bene quella verbale. Ad esempio per strada ti senti dire che dovrebbero riaprire Auschwitz e che a noi dovrebbe pensare Hitler”.


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(Foto di Kenzo Tribouillard, da Getty Images)

Si tratta, tra l’altro, di iniziative che non subiscono nessuna forma di resistenza da parte dei rappresentanti politici e istituzionali, primo tra tutti il presidente Andrzej Duda. La lotta Lgbtq è percepita non come lotta per l’acquisizione di diritti ineliminabili, ma come “un’ideologia aggressiva che promuove l’omosessualità”. Lo stesso Duda avrebbe affermato che promuovere diritti Lgbtq sarebbe “ancora più distruttivo del comunismo”. Stessa posizione, quella dell’arcivescovo di Cravocio, che crede che dietro “le bandiere arcobaleno” ci sia una piaga “neo-marxista”. Ed è proprio all’interno di questo quadro che ha potuto affermarsi e prosperare la realtà del comune di Swidnik, nella Polonia orientale, con poco più di 40.000 abitanti, un comune “pioniere” nelle nuove zone gay free. Come sottolineato da diversi attivisti “la guerra non riguarda più carri armati e missili. Un paese viene distrutto creando il caos. Ed è quello che questi gay stanno cercando di fare”. Non si tratta di un attacco aperto, ma di una vera e propria pressione psicologica: se alcune zone sono dichiaratamente anti-Lbgti, la responsabilità di evitarle ricade sull’omosessuale, invertendo in questo modo il senso di marcia. A commentare la situazione, allora, è arrivata anche la voce della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, durante il suo primo discorso sullo stato dell’Unione: “Essere te stesso non è la tua ideologia: è la tua identità e nessuno te la può togliere. Le aree senza LGTBI sono aree senza umanità e non hanno posto nella nostra Unione”. E ancora: “Proporremo di allungare la lista dei crimini di incitamento all’odio, sia che si tratti di matrice razziale, di genere o di orientamento sessuale, l’odio non va tollerato“.

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