Coronavirus, Spagna prima in Europa per contagi: verso nuove restrizioni

Non si arresta l’epidemia di coronavirus in Spagna: il Paese è ora primo in Europa per numero di contagi. Madrid si prepara a nuove misure di contenimento del virus. 

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foto di repertorio (via Voice of America) – Coronavirus in Spagna, nuove resitrizioni

Con un totale di 716.481 contagi da inizio pandemia, ora è la Spagna a detenere la drammatica quota più alta in Europa. Secondo quanto si apprende dalle fonti, pare che l’esecutivo sia ora intenzionato ad estendere e a disporre nuove misure e restrizioni atte al contenimento della pandemia nel Paese.

Nel frattempo, a Madrid dura da giorni il conflitto con il governo, tanto che la giornata di ieri si è resa teatro di proteste contro le restrizioni antivirus. Eppure, già dalla mezzanotte di oggi è scattato il divieto di spostamento in nuove aree definite a rischio, con milioni di cittadini che ora, se non per motivi di lavoro, di studio o cure mediche, dovranno rimanere a casa. Da oggi si raccomanda a “tutta la popolazione”, che risieda o meno in zone a rischio, di “evitare spostamenti inutili“, recita il messaggio dell’amministrazione, e non pare sia escluso un intervento del governo.

Coronavirus: cosa è andato storto in Spagna?

All’inizio del mese di luglio il primo ministro spagnolo Pedro Sánchez aveva affermato: “Abbiamo sconfitto il virus, messo sotto controllo la pandemia e appiattito la curva di contagi”. Ma sono bastati soltanto due mesi, perché il ministro della Salute Salvador Illa arrivasse a spiegare alla nazione: “Madrid sta affrontando settimane difficili“. Il cosidetto “ritorno alla normalità”, in cui la Spagna era entrata dopo la fine dello stato di allarme, è durata meno di tre mesi. E, come spiega El Pais, le restrizioni anti contagio che erano state revocate in quel 21 giugno sono ora, lentamente e gradualmente, ritornate in vigore in diverse Regioni.

Sebbene infatti la Spagna fosse riuscita a tenere realmente sotto controllo l’epidemia per diverso tempo, oggi ha per l’ennesima volta la velocità di trasmissione più elevata in Europa. E continua a macinare, drammaticamente, cifre di gran lunga superiori rispetto a quelle registrate dai Paesi vicini. Cos’è che è andato storto, allora? Diversi esperti concordano sul fatto che la Spagna avesse instaurato una strategia modello per la lotta al coronavirus. Secondo il piano nazionale, le restrizioni dovevano essere revocate in modo asimmetrico a seconda di come le Regioni avrebbero ridotto i loro tassi di incidenza di Covid-19, e dimostrato altresì di avere la capacità di controllare efficacemente la pandemia in previsione di una seconda ondata.

Ma il piano ha però presentato due falle: il Ministero della Salute non ha specificato quale avrebbe dovuto essere il tasso di incidenza, né quali garanzie sanitarie andavano messe in atto. In altre parole, mancavano dei parametri chiari e uniformi da seguire. Anche per questo, forse, alcune Regioni hanno interrotto le misure d’emergenza ante tempus. Miguel Hernán, professore di epidemiologia all’Università di Harvard, ha evidenziato che “il ritorno alla normalità era tutta un’altra cosa”. “Quello che abbiamo visto in Spagna è stato semplicemente una riduzione delle misure anti contagio senza aver fatto tutti i conti”.


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Perché come spiega a El Pais, prima di poter dire di essere tornati alla “normalità”, almeno quattro condizioni andavano rispettate. In primo luogo, le autorità regionali avrebbero dovuto dimostrare la loro capacità di creare e rafforzare sia l’assistenza sanitaria di base che la diagnosi dei casi di coronavirus (e questo sia per la ricerca dei contatti che per le misure di quarantena). In secondo luogo, il governo spagnolo aveva bisogno di definire degli indicatori epidemiologici trasparenti e comuni per facilitare un’azione comune.

Poi, una task force di specialisti avrebbe dovuto progettare misure concrete per il piano di riduzione dell’emergenza. Infine, era necessario un processo decisionale atto a revocare o introdurre nuove restrizioni sulla base di un’analisi dei dati epidemiologici relativi alle tre settimane precedenti. Troppo ottimismo e una mancanza di un piano accuratamente organizzato, allora, potrebbero essere stati fatali per il Paese, oggi primo in Europa per numeri da Covid.

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