Piano vaccinale, l’Europa sta fallendo. Austria e Danimarca pensano di fare da sole

La lentezza dell’Europa e i ritardi nel piano vaccinale hanno spinto alcuni Paesi a provvedere in autonomia. 

Quella dei vaccini è una sfida che l’Europa non può perdere. Eppure, nonostante gli sforzi e le premesse, l’Unione Europea è visibilmente indietro rispetto agli Stati Uniti e al Regno Unito. Gli Usa, con Joe Biden alla guida, superava già qualche giorno fa le 50 milioni di dosi di vaccini anti Covid. E non è un caso se, per la prima volta in 100 giorni, gli Stati Uniti hanno registrato meno di 100mila nuovi casi di coronavirus. Anche la Gran Bretagna vola sulle vaccinazioni, avendo già vaccinato oltre 20 milioni di persone e Boris Johnson è ormai passato dal fronte dei negazionisti a quello dei leader. Numeri che l’Italia non vede e non vedrà in tempi brevi. Di questo passo, l’immunità di gregge è un obiettivo molto più che lontano.

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Ma il problema non riguarda solo il nostro Paese perché anche l’Europa fatica a star dietro alla corsa ai vaccini, a causa dei ritardi e delle forniture inferiori al previsto da parte dei produttori di vaccini che hanno rallentato il piano vaccinale. L’approccio seguito dalla Commissione Europea potrebbe non aver funzionato. L’Ue ha puntato al “risparmio”, procedendo in modo più cauto e cercando di venire incontro alla necessità di mettere d’accordo i governi di 27 paesi. L’obbiettivo era raggiungere un unico sistema di prenotazione, con l’ acquisto dei vaccini con a capo la Commissione Europea. Una soluzione che punta all’unione e alla coesione, ma forse poco funzionale. Certamente, ciò ha evitato che i paesi più piccoli rimanessero senza vaccini, subendo la concorrenza dei più grandi e attrezzati.

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Un problema europeo

Quando i Paesi avevano iniziato a trattare per l’acquisto dei vaccini, la burocrazia e i regolamenti europei hanno frenato i tempi. La paura era quella di incappare in nuovi ritardi, come già accaduto con la questione delle mascherine. Così, Francia e Germania avevano iniziato a valutare di agire per conto proprio, includendo anche l’Italia e i Paesi Bassi. Un pericolo che la Commissione cercò subito di arginare, presentando una soluzione per accelerare le procedure burocratiche per negoziare con le aziende farmaceutiche. Alla fine, le trattative sono state gestite in maniera centralizzata. Inoltre, l’Europa ha puntato al “risparmio”. Contratti più convenienti non costituiscono affatto un vantaggio, specie se messi a confronto con l’impatto economico del lockdown. Rimanere indietro con il vaccino vuol dire rimanere indietro nel mercato. Ma questo non è stato compreso, quanto meno non subito.

C’è chi pensa di agire da solo

Ed è per questo che il cancelliere austriaco Sebastian Kurz ha annunciato che collaborerà con Israele e Danimarca per produrre vaccini di seconda generazione in grado di rispondere alle mutazioni del coronavirus. I membro del “First Mover” non faranno più affidamento sull’Europa e, insieme a Israele, produrranno dosi di vaccino di seconda generazione, per far fronte ad ulteriori mutazioni del coronavirus. Del gruppo fanno parte Austria, Danimarca, Grecia e Repubblica Ceca, oltre alla Norvegia (che non fa parte dell’Ue), Israele, Australia e Nuova Zelanda e l’iniziativa sembra essere un primo strappo con l’Europa e, secondo il cancelliere austriaco, a bloccare il piano vaccinale è stata anche la lentezza dell’Ema.

L’appello di Mario Draghi

Qualche giorno fa, il Premier italiano Mario Draghi ha fatto appello proprio all’Europa per accelerare sui vaccini. Non ha convinto la diapositiva sulle consegne delle dosi di vaccino del secondo e del terzo trimestre, mostrate al vertice dalla presidente Ursula Von der Leyen. Dati poco rassicuranti e che non danno certezze. Draghi ha fatto riferimento proprio al Regno Unito e agli Stati Uniti e alle loro modalità di conservazione dei vaccini. E se la priorità dell’Europa è non far restare indietro nessuno, Draghi ha chiarito che questo “non è il momento di fare donazioni in Ue per una questione di credibilità nei confronti dei cittadini europei, visti i ritardi nelle vaccinazioni”. Serve autonomia, ha chiesto Draghi, seguito dal presidente francese Emmanuel Macron. Conclusioni? “La nostra strategia sui vaccini ha garantito che tutti gli Stati membri abbiano accesso ai vaccini” ma “dobbiamo accelerare con urgenza l’autorizzazione, la produzione e la distribuzione di vaccini, nonché la vaccinazione”, si legge in una bozza al termine dell’incontro tra i leader europei. Le aziende devono garantire la prevedibilità della loro produzione di vaccini e rispettare i termini di consegna contrattuali. Basterà?

Pass verde digitale

E intanto dall’Europa Ursula von der Leyen accelera e propone i certificati vaccinali per consentire agli europei di tornare a viaggiare nel continente in vista dell’estate. L’idea dei “passaporti Covid”, inizialmente rifiutata, ora sembra invece incontrare le preferenze della Presidente Ue. L’idea vincente è arrivata al premier Greco Kyriakos Mitsotakis, che ha proposto di cambiare il nome del certificato da “passaporto vaccinale” a “pass verde”, che segnalerà non solo chi è stato vaccinato, ma anche chi ha un tampone negativo o chi è immunizzato perché ha già avuto il Covid.

“L’obiettivo è certificare le persone vaccinate, i risultati dei test di quanti non si sono potuti immunizzare e informazioni sulla ripresa dal Covid rispettando ovviamente la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy”, ha spiegato von der Leyen. Il Digital Green Pass sarà proposto ai governi entro marzo e potrebbe essere vitale per salvare la prossima stagione estiva. Lo scopo è consentire gradualmente ai cittadini di muoversi in sicurezza nell’Ue o all’estero, per lavoro o per turismo. La data chiave è il 17 marzo, quando la Commissione europea presenterà un pacchetto con il pass verde Covid, che si concentrerà sui viaggi e la revoca delle restrizioni, per una riapertura comune sicura, come affermato dal vicepresidente dell’Esecutivo comunitario Margaritis Schinas. 

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