Permette? Alberto Sordi | la recensione del film tv Rai con Edoardo Pesce

Il film tv Permette? Alberto Sordi sceglie il punto di vista più interessante per celebrare lo straordinario attore romano, non raccontandolo nelle fasi centrali della sua carriera, ma scegliendo di metterne in scena gli esordi, quando la sua “unica” dote sembrava essere una voce inimitabile.

È andato in onda ieri sera su Rai1 il nuovo film tv Permette? Alberto Sordi, trasmesso nel centenario della nascita dell’indimenticabile attore romano. Ad interpretare Sordi c’è Edoardo Pesce, bravo nel non scadere mai nell’imitazione ma invece sempre capace di evocare il ricordo collettivo ancora intatto di una personalità complessa e spigolosa. 

Permette? Alberto Sordi

Il film tv diretto da Luca Manfredi comincia dalle prime porte sbattute in faccia: Alberto Sordi viene cacciato dall’Accademia a Milano e torna a Roma accettando con la coda tra le gambe, costretto ad accettare ogni piccolo ed insignificante ruolo pur di coronare il sogno di diventare attore. Eppure nessuno sembra accorgersi delle sue capacità recitative. L’unica sua dote realmente apprezzata è la voce, grazie alla quale arriverà a doppiare Oliver Hardy inventandosi quel buffo accento anglosassone che è oggi uno degli elementi che caratterizzano il ricordo che gli spettatori italiani hanno dello storico comico americano. Nonostante si presenti nella forma del lungometraggio (dalla durata di un’ora e cinquanta minuti) Permette? Alberto Sordi segue i canoni della classica fiction televisiva, che ha però stavolta il pregio di portare in scena un attore, Edoardo Pesce, capace come pochi altri di lavorare sul personaggio senza farsi inghiottire da esso.

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La bravura di Edoardo Pesce

Gran parte del merito della riuscita dell’operazione lo ha Edoardo Pesce, che nel momento in cui indossa i panni di Alberto Sordi è bravissimo nel comunicare immediatamente quali sono i tratti di quel “personaggio” (inteso come personaggio pubblico e cinematografico) ormai assimilati da una intera generazione di italiani che si riconoscevano in quel modo di comportarsi e di approcciarsi alla vita. La sua interpretazione (e il suo prezioso contributo in fasi di sceneggiatura) riesce da sola ad elevare la materia del racconto televisivo e a far emergere la modesta (nel suo significato positivo) ambizione del film: quella di rappresentare un omaggio piuttosto che una celebrazione. Attorno a lui si muovono numerose maschere: Alberto Paradossi nei panni di Fellini, Martina Galletta in quelli di Giulietta Masina, Francesco Foti in quelli di De Sica e infine Lillo Petrolo, perfetto nelle espressioni che dà al suo Aldo Fabrizi, ma poco credibile a causa della corporatura completamente diversa.

L’Italia di quegli anni

Dove forse il film pecca è nella ricostruzione storica degli anni in cui si svolge la vicenda (altre produzioni Rai paragonabili, come ad esempio Il Principe Libero con Luca Marinelli avevano dimostrato altra fattura). È evidente la cura nelle ambientazioni, nella scelta dei vestiti e negli elementi di decoro, ma la messa in scena di quella Italia in cui si muoveva Sordi, prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale, rimane piuttosto scolastica, sicuramente corretta ma mai in grado di essere un elemento di valore aggiunto alla narrazione. Infine, la sceneggiatura indugia forse un po’ troppo sulla relazione tra Sordi e l’attrice Andreina Pagnani. Sicuramente la parte meno interessante dell’intero racconto.

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