Coronavirus, il traffico di mascherine: chi le produce non può venderle

Al Politecnico di Milano controlli su 600 prototipi: soltanto dieci avevano i requisiti di sicurezza, il resto erano inutilizzabili.

Coronavirus, il traffico di mascherine: chi le produce non può venderle – meteoweek

«Vi comunico che il Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, mi ha appena informato che le mascherine che riportavano la dizione ffp2 equivalenti, inviate dalla Protezione civile in data odierna agli Ordini dei medici capoluoghi di Regione, non sono dispositivi autorizzati per l’uso sanitario dalla Protezione civile. Vi chiedo quindi di sospendere immediatamente la distribuzione e l’utilizzo di quanto ricevuto, informando nel contempo eventuali medici o strutture che ne fossero già in possesso»: questo è il messaggio spedito dal presidente dell’Ordine dei medici ai sono i presidenti degli Ordini dei medici nei capoluoghi di Regione. La missiva è stata resa nota da Milena Gabbanelli. Ogni giorni milioni di mascherine importate vengono messe da parte con la stessa motivazione: non sono sicure, sono inutilizzabili. Il decreto del 17 marzo autorizza l’importazione in deroga alle norme vigenti, quindi può entrare materiale senza certificazione Ce, e che l’Agenzia delle dogane può bloccarlo quando non è chiaro il destinatario, ma non può più fare le analisi di conformità. Lo stesso decreto lancia un appello alle aziende italiane perché riconvertano la produzione in deroga alle norme vigenti, rispettando però rigidi criteri di biocompatibilità e di performance (filtraggio fino al 98%). Anche molte di queste non hanno passato il test: il cotone non era filtrante. Molti hanno abbandonato. Alcune ce l’hanno fatta come la Sapi di Reggio Emilia. Il problema sarà alla fine della crisi quando dovranno combattere con un mercato che punta a ribasso, trascurando la sicurezza.

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La Fippi è stata guidata dal Politecnico nella scelta del materiale giusto – meteoweek

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Intanto Crisanti virologo di fama mondiale raccomanda: «Sarà meglio usare mascherina e guanti anche in casa. E, soprattutto, limitare all’indispensabile l’utilizzo degli ambienti domestici condivisi. Mi rendo conto del sacrificio ma i risultati del nostro studio sulle probabilità di essere infettati dimostrano chiaramente l’assoluta efficacia della restrizione». Anche a costo dell’impopolarità, il professor Andrea Crisanti procede con un nuovo fronte di lotta al virus. «Le persone non si ammalano tutte nello stesso momento. Noi vediamo una progressione. In ospedale arrivano a grappoli, interi nuclei familiari – spiega intervistato dal ‘Corriere della Sera’ – Questo significa che se non si sta attenti le nostre case possono trasformarsi in tanti piccoli focolai di contagio. Diciamo che in questo momento sono più protetti i single”. Per il virologo “ci vuole un’azione decisa. Sarebbe utile andare nelle abitazioni a fare i tamponi quantomeno a tutte le persone che hanno accusato sintomi non gravi. Controllare poi i familiari e chi è entrato in contatto con i soggetti contagiati

Il professor Crisanti ha poi un’altra proposta: «Sarebbe molto utile trasferire tutti i positivi in strutture ad hoc. Naturalmente parlo delle persone che non richiedono un ricovero ospedaliero. Penso per esempio agli hotel rimasti vuoti. Di alberghi ce ne sono tantissimi e sono pure confortevoli. I malati rimarrebbero comunque in contatto con le famiglie

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