Coronavirus, un’altra Pasqua in casa: dodici mesi dopo nulla è cambiato

Potrebbero arrivare già per il prossimo weekend nuove restrizioni che comprenderanno, quasi certamente, la Pasqua.

Il Coronavirus ha compiuto un anno il 20 febbraio. Un anno fa il “paziente 1” di Codogno faceva il giro di tutti i Tg e per l’Italia iniziava la dura lotta contro il Coronavirus che, nel giro di pochissimo tempo, ha stravolto le vite di tutti. Lotta che, dopo 12 mesi, non è ancora finita. E non è neanche finita la logica dei lockdown, come se chiudere tutto possa essere davvero la soluzione contro la pandemia. E infatti, anche il lockdown ha spento le candeline. Le restrizioni, le limitazioni, le zone rosse sarebbero dovuto durare solo 15 giorni. Ci venne detto così, alla prima conferenza stampa di Giuseppe Conte. “Chiudiamo oggi per riaprire in sicurezza domani“, è il motto che ci ha accompagnato per moltissimo tempo, illudendoci che prima o poi la normalità sarebbe tornata. Così non è stato e, dopo dodici mesi, la situazione è pressocchè identica.

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Un disastro mondiale che ha messo in crisi ospedali, sanità, economia, equilibrio sociale, psiche dell’individuo e che non sembra voler finire, dal momento che la diffusione delle varianti mette in allarme gli esperti che chiedono, da mesi, una nuova chiusura generalizzata per fermare l’avanzamento dell’epidemia. Nuove restrizioni potrebbero arrivare già nel prossimo weekend, con una deroga al Dpcm attualmente in vigore. Si ipotizza un lockdown su tutto il territorio nazionale nel weekend, come a Natale; ma anche il coprifuoco anticipato alle ore 20.00 e misure più rigide nelle zone gialle. Sta di fatto, che a rischio c’è il periodo Pasquale. Il Decreto è in vigore fino al 6 aprile e il rischio è che, esattamente come un anno fa, anche questa Pasqua la passeremo in casa.

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Chiudere, però, vuol dire distruggere il sistema economico che avanza a fatica. E la soluzione proposta dagli esperti non concorda con le teorie economiche, con i dati, con gli economisti, con i report: tutto conferma che ci troviamo in una crisi con pochissimi precedenti storici e che la ripresa sarà lunghissima, soprattutto in termini di mercato. Ormai quasi tutti i Paesi hanno scelto la via delle chiusure, anche se l’Italia procede a zone. Un piano, quello a fasce, firmato Giuseppe Conte e del resto il volto della pandemia è sempre lui. Non ci siamo ancora abituati a Mario Draghi, per mesi ci hanno “tenuto compagnia” le conferenze di Conte. Eppure, il nuovo Presidente del Consiglio sembra quasi certo di voler seguire la scia del suo predecessore ma, esattamente come allora, c’è da tenere conto dell’allarme degli esperti secondo cui la soluzione resta il lockdown.

Il “modello italiano” era sembrato quello più valido per reggere l’onda d’urto del Covid ma, a valutare gli effetti, le stime sembrano essersi rivelate solo illusorie. La situazione economica in cui versano migliaia e migliaia di persone è catastrofica e la povertà, nell’anno della pandemia, ha sfiorato un record che non si vedeva da quindici anni. Secondo i dati dell’Istat, un italiano su dieci si trova in grave difficoltà economica e l’incidenza della povertà assoluta cresce sia in termini di nuclei familiari sia in termini di individui. Le famiglie sono entrate in crisi e chi godeva di una situazione stabile si è trovato a vivere, inaspettatamente, un incubo dal sapore amaro. I “nuovi” poveri sono diventate le vere vittime della pandemia.

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Allarme sanità 

Il Coronavirus ha evidenziato tra le altre cose anche la debolezza del sistema sanitario italiano che, fin dai primi casi, non ha retto alla pressione. Ci siamo così ritrovati con ospedali pieni, medici assenti e dispositivi mancanti: non eravamo pronti alla catastrofe e hanno inciso, su questo, anche i numerosi tagli fatti negli anni proprio alla sanità, tagli dovuti alle politiche di austerity degli ultimi dieci anni. Secondo uno studio della Fondazione Gimbe , si stimano di 37 miliardi di euro i tagli effettuati dal governo di Mario Monti in poi. Dal 2011 a oggi la spesa sanitaria è aumentata dello 0,8% in un anno, passando da 105,6 miliardi a 114,4; dato da controbilanciare con l’inflazione, aumentata dell’1,07% ogni anno.

Non è andata meglio con il governo di Matteo Renzi. Dal 2015 , vennero imposte alle Regioni 4 miliardi di contributi per le casse dello Stato. Soldi che arrivarono con la rinuncia dei due miliardi promessi da Roma per la sanità. Quota 100 del governo Conte ha invece inciso sulla carenza di personale e nel complesso tutto ha inciso sul numero dei posti letto disponibili, iniziati a calare durante il Governo Monti. Ridotte anche le strutture ospedaliere. Emblematico il caso del Lazio, dove Nicola Zingaretti ha deciso di chiudere il Forlanini, struttura da 1400 posti letto. Quindi meno posti letto, meno ospedali e anche meno personale. E una crisi che ci ha trovati totalmente impreparati.

 

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