Il Ddl Zan è un’occasione o una minaccia? Il punto tra contenuti e critiche

Continua a far discutere il disegno di legge Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, anche detto Ddl Zan, attualmente in commissione giustizia al Senato. Tante le critiche che hanno coinvolto la proposta di legge, a volte pretestuose, a volte meno. Ma cosa c’è, effettivamente, nel Ddl Zan? E ha veramente dei punti deboli?

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E’ necessario “approvare subito il ddl Zan. Il Senato deve fare in queste settimane un gesto concreto”, ha ribadito nella giornata di ieri il segretario del Pd Enrico Letta. Dall’altro lato, per Matteo Salvini il Ddl Zan rappresenta una sorta di “bavaglio, una censura“, perché “prevede che un giudice può decidere chi ha il diritto di sostenere alcune tesi relative a mamma e papà e chi no“. Insomma, il dibattito pubblico e politico sul Ddl Zan va incontro a una progressiva polarizzazione (e forse strumentalizzazione) che rischia di oscurare i reali contenuti della proposta di legge. Diventa allora indispensabile chiedersi: di cosa stiamo parlando?

Il disegno di legge Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità, detto anche ddl Zan, si trova attualmente in discussione all’interno della Commissione Giustizia in Senato, e si propone un obiettivo specifico: estendere l’ambito di applicazione della normativa già esistente sui reati d’odio ad attacchi e comportamenti dovuti all’orientamento sessuale, al genere e all’identità di genere. Il testo è stato già approvato alla Camera (novembre 2020) e da tempo aspetta di approdare in discussione in Senato. A bloccarlo è stata la stagnazione in Commissione Giustizia del Senato, nella quale il presidente leghista Andrea Ostellari ha a lungo deciso di tenere per sé la delega di relatore. Proprio oggi la Commissione Giustizia decide se presentare in Senato il testo già approvato il 4 novembre 2020, o se cambiare radicalmente le carte in tavola. Ma quali sono i contenuti del Ddl Zan?

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Di cosa stiamo parlando

alessandro zan
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La proposta di legge – come già anticipato – ha lo scopo di intervenire su due articoli del codice penale e di ampliare il campo di applicazione della cosiddetta legge Mancino, che già tratta le discriminazioni per razza, etnia e religione. Il Ddl Zan vorrebbe aggiungere, a queste categorie, anche le discriminazioni per sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Nello specifico, il decreto-legge numero 122 del 1993 (la legge Mancino) sanziona e condanna gesti, azioni e slogan aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Il Ddl Zan, allora, si ripropone di modificare i delitti degli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, ovvero quegli articoli che definiscono i reati introdotti dalla legge Mancino, proprio per estendere l’ambito di applicazione della legge anche agli atti di omobilesbotransfobia.

Per farlo, il Ddl Zan si struttura in dieci articoli. Al primo articolo è lasciato il compito di presentare le definizioni necessarie per identificare in maniera univoca e condivisa i termini “sesso”, “genere”, “orientamento sessuale” e “identità di genere”. Per il Ddl con l’espressione “identità di genere” “si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Insomma, per identità di genere si intende la percezione che ognuno ha di sé in quanto maschio, femmina o altro, a prescindere dagli attributi maschili o femminili detenuti. In breve, il Ddl Zan in questo modo si aprirebbe anche ai transgender indipendentemente dall’esistenza o meno di un’eventuale riassegnazione chirurgica del sesso. Ed è proprio sulla definizione di identità di genere che si sono focalizzate molte critiche avanzate dai detrattori della proposta di legge (centrodestra, Cei, e Arcilesbica).

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Le critiche all’identità di genere

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In un articolo apparso di recente su Avvenire si prova a fare il punto sulle problematiche della proposta di legge, e a proposito dell’identità di genere viene affermato, tra le altre cose: “La identità di genere nella sua indeterminatezza soggettiva non appare adatta a sostenere una legge, che ha bisogno di certezze oggettive, e tantomeno una norma (l’articolo 604-bis del Codice penale) che prevede sanzioni a chi ne viola il dettato”. Effettivamente, l’espressione fa riferimento a un’autopercezione in grado di prescindere dagli attributi sessuali, e dunque fa riferimento alla sfera soggettiva. Il che potrebbe rappresentare un problema.

Va però specificato che l’espressione è già stata utilizzata in passato in ambito legislativo, e proprio a quegli utilizzi fa riferimento il Ddl Zan. Esempi? L’espressione è presente nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, ed è già stata utilizzata in un testo normativo da una direttiva del 2011 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea. Inoltre, dal 2018 è utilizzata anche dall’ordinamento penitenziario, oltre a essere presente in diverse sentenze della Corte costituzionale. Insomma, si tratta di termini già adottati in diversi casi in ambito legislativo e giudiziario. Certo, in questo caso la materia trattata coinvolge il codice penale e – soprattutto per una legge di così largo respiro – maggiore è il grado di oggettività, migliore è la legge. Va però specificato che la proposta di legge parla non solo di un’identità di genere autopercepita, ma anche “manifestata”, mantenendo un certo aggancio con la rappresentazione pubblica di sé.

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Un’altra critica rivolta all’introduzione dell’identità di genere riguarda motivazioni di carattere culturale, più che legislativo, sottolineate ancora una volta dall’Avvenire: “Molti ritengono che l’identità di genere tenda a ‘cancellare la differenza sessuale per accreditare una indistinzione dei generi’ (…), con ‘una confusione antropologica che preoccupa’. E che diventerebbe ‘il luogo in cui si vuole che la realtà dei corpi – in particolare quella dei corpi femminili – venga fatta sparire’, come lamentano le associazioni femministe e lesbiche“.

Questa sembra essere, invece, una critica di carattere pretestuoso. Riconoscere finalmente l’esistenza di identità di genere transgender non vuol dire automaticamente “cancellare la differenza sessuale”, non vuol dire neanche creare una confusione antropologica apocalittica. I transgender esistono ed esisteranno sempre, il riconoscerne l’esistenza a livello legislativo non intacca l’esistenza di chi si riconosce nel proprio genere. E’ un po’ come dire che consentendo il matrimonio tra omosessuali, si attacca l’istituto del matrimonio tra eterosessuali: è una fallacia logica, le due cose possono coesistere. Oltretutto, le associazioni femministe e lesbiche di cui si parla spesso riguardano, nella maggior parte dei casi, Arcilesbica, un’associazione nazionale di lesbiche già da tempo marginalizzata dal resto della comunità LGBT+ perché considerata il baluardo di un femminismo (Terf) volto a escludere le persone trans.

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E la libertà di opinione?

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Un’altra critica riguarda il presunto attacco alla libertà di opinione. Nell’articolo 604-bis del codice penale viene punito, tra le altre cose, “chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” e chi “istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi“. Il Ddl Zan, come evidenziato, si ripropone di aggiungere anche motivi legati alla discriminazione fondata su sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere e disabilità. Tuttavia, il Ddl Zan intende intervenire esclusivamente sull’istigazione e sull’attuazione di atti di discriminazione e di violenza, escludendo il riferimento alla propaganda. Dunque il reato di propaganda viene mantenuto solo per quanto già stabilito dal codice penale.

A specificarlo è l’articolo 4: “Sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti“. Insomma, la proposta di legge non va a punire campagne di comunicazione o sensibilizzazione, va a punire gli atti di odio o la loro istigazione. Tutto questo, citando l’Avvenire, però,  è “una previsione alquanto vaga, affidata all’interpretazione di ogni giudice. La sola minaccia di conseguenze penali, peraltro, può indurre una compressione della libertà di pensiero e di educazione sotto la minaccia di ‘omofobia’”. Insomma, dove finisce la libertà di espressione e dove inizia la discriminazione? Il compito di decretarlo andrà al giudice, e secondo alcuni potrebbe rappresentare un problema.

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A tutto questo si aggiungerebbero ulteriori critiche che meriterebbero un approfondimento a parte, legate alla presunta esistenza di una legge che già andrebbe a punire i crimini evidenziati dal Ddl Zan (l’articolo 61 del codice penale sulle circostanze aggravanti comuni applicabili a qualsiasi reato); o legate alla presenza del riferimento al “genere”, criticato perché “le donne non sono una minoranza”. Fatto sta che la proposta di legge è effettivamente perfettibile. Alcune zone d’ombra ci sono, anche se non tante quanto lascerebbero credere i travisamenti pretestuosi. Ma per perfezionarla è necessario discuterne, magari in Senato, proprio dove la proposta non riesce ad approdare a causa di una stagnazione in Commissione Giustizia.

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